venerdì, maggio 18, 2007

Amare e difendere la vita che nasce



In fuga dalla madre per non abortire
Genova, ragazza va dalla polizia: affidata a una comunità. La Curia: la aiutiamo noi

GENOVA — Diciassette anni, al terzo mese di gravidanza, ecuadoriana, si è presentata accompagnata dalla sorella quindicenne alla questura di Genova chiedendo aiuto: la madre voleva costringerla ad abortire a suon di schiaffi e minacce ma lei, chiamiamola Rosa, quel bambino voleva farlo nascere. «Mia madre mi ammazzerà di botte» ha raccontato all’ispettore Claudio Boldrini. E non scherzava. Alle spalle di Rosa e della sorella minore una vita di continue violenze fisiche, cinghiate, bastonate, e percosse, dice Boldrini, «inferte con un nerbo di bue che ha lasciato cicatrici e piaghe».
LA FAMIGLIA — Una madre sola (il padre di Rosa è rimasto in Ecuador), una famiglia allargata al femminile, lamamma, le zie, altre due sorelle maggiorenni tutte in lotta per la sopravvivenza e preoccupate che le «piccole» rigassero dritto. A suon di botte. Rosa va a scuola, frequenta il secondo anno di un istituto tecnico, la sorella minore è al primo anno. Si sono innamorate, di ragazzi come loro. Ma Rosa è rimasta incinta. Ha fatto i test, le analisi per avere una conferma e il 9 maggio la certezza: aspettava un bambino. Lo ha detto in famiglia e ha spiegato di volere quel figlio, ha ricevuto solo botte e minacce per convincerla a disfarsi alla svelta di quella «bocca in più da sfamare». Il padre del bambino è un diciassettenne, ecuadoriano anche lui, ha un lavoro ed è pronto, nella sua giovinezza, «a prendersi le sue responsabilità» come ha detto agli agenti. Rosa è pronta a tenersi il bambino a ogni costo perché, ha ripetuto più volte, «è frutto di un atto di amore», una frase che ha colpito l’ispettore Boldrini: «Era molto decisa ma aveva una grandissima paura di tornare a casa. Era certa che la madre e le sorelle l’avrebbero costretta in qualche modo ad abortire. Non proprio a botte magari, ma la minaccia era anche quella....».
L’ASSISTENZA — Ora Rosa e la sorella — spiega il dirigente dell’anticrimine Francesco Maria Delavigne—sono state affidate a una struttura protetta a Genova, dove Rosa riceverà l’assistenza per la gravidanza. La madre (che ha regolare permesso di soggiorno) è stata denunciata per maltrattamenti. Inizia adesso un iter di tutela che non porterà necessariamente alla separazione fra Rosa, la sorella e la madre. Rosa, nel suo lungo colloquio alla sezione minori, ha detto di essere credente. La sua storia non può non colpire in questi giorni, all’indomani del monito di monsignor Betori, segretario della Cei, sulla «battaglia» che la Chiesa deve condurre contro aborto e eutanasia.
LA CHIESA — «Non si può non sottolineare — dice monsignor Pietro Pigollo, direttore dell’ufficio per la famiglia e la vita della Curia di Genova — come questa ragazza, in una situazione difficile, abbia scelto la vita. Ha difeso la persona più debole, il bambino che deve nascere. Ma troppo spesso si lasciano sole le persone con la loro scelta. È necessario invece essere prossimi, questo è un termine cristiano, che significa qualcosa di più dell’essere vicini. Siamo prossimi a lei, al bambino e anche alla sua famiglia. Scegliendo di avere un bambino quando si è così giovani, in qualche modo si scommette sulla Provvidenza. Questa giovane ha bisogno di aiuto e, se vorrà, anche noi saremo in grado di darlo».

Erika Dellacasa

Corriere della Sera 18 maggio 2007