giovedì, ottobre 08, 2009

Il mondo ... come non l'abbiamo mai visto!

Una nuova segnalazione di un sito internet...
Un gruppo di cartografi...a prima vista pazzi...hanno realizzato dei cartogrammi tematici, rispettando i confini tra le nazioni ne hanno deformato le grandezze a seconda del tema della cartina. Poverta, acqua, popolazione, reddito ecc ecc..
Chiaramente da vedere!!!

http://www.worldmapper.org/#

Popolazione

mercoledì, ottobre 07, 2009

Un bellissimo reportage su L'Aquila


A sei mesi dal terremoto risorge una tenacia millenaria

A sei mesi dal terremoto dell’Aquila, Giovanni D’Alessandro e Stefano Schirato danno alle stampe il volume «Sulle rovine di noi. Parole e immagini dedicate all’Aquila» (San Paolo, pagine 184, euro 24,00; in libreria da mercoledì 7 ottobre), del quale anticipiamo in questa pagina alcuni scatti di Schirato, un passo di D’Alessandro e la prefazione di Giuseppe Molinari. D’Alessandro ha esordito nel 1996 con «Se un Dio pietoso»; ha poi pubblicato «I fuochi dei kelt», «La puttana del tedesco» e i racconti «Il guardiano dei giardini del cielo»; Schirato è autore dei reportage fotografici «Gli occhi della Cambogia», «Né in terra, né in mare» e «Fuori di me».

Definire L’Aquila non è facile. Significa tracciare confini attorno a qualcosa d’indefinibile. Non è solo una città, è qualcos’altro, a cui s’intonerebbe, se non appartenesse già agli Stati Uniti d’America, il motto E pluribus unum, Da molti uno, e non solo con riferimento al singolarissimo progetto fondativo della città, che nasce attorno alla metà del XIII secolo con l’avallo da parte dell’imperatore Federico II di costituire una nuova entità unendo vari castelli, cioè vari nuclei fortificati già esistenti.

L’Aquila nasce dunque da un progetto particolare. Non è un abitato che si espande. È una sintesi di più abitati che decidono di convergere in senso centripeto verso un unum tutto da inventare, e non perché manchi loro un’illustre storia. Basti pensare che uno di questi municipia poi fattisi castra era Amiternum, di cui restano imponenti scavi alle porte dell’Aquila, cioè una delle capitali dei Sabini, nominata già all’inizio del III secolo avanti Cristo, al tempo delle guerre sannitiche, quando viene presa dal console Spurio Carvilio. Ci passa Annibale nel 211, negli anni successivi è ricordata per vari contributi a questa o a quella fazione romana, pochi anni dopo diventa prefettura e tale rimane fino al tempo di Augusto, con una certa notorietà, confermatasi nell’86 a.C. soprattutto per aver dato i natali allo storico e politico Caio Sallustio Crispo. Alcuni decenni dopo, Virgilio cita Amiternum nell’Eneide. Ma anche passati quattro secoli e mezzo da allora e caduto l’Impero romano, gli abitati di Foruli, Peltuinum, che saranno tra i principali castelli-gameti dell’Aquila, non scompaiono del tutto, rimangono come nuclei di posta sulle direttrici o sulle diramazioni delle antiche vie consolari, oppure si trasformano in diocesi, dal vasto territorio, come Forcona. Fino a quando, attorno alla metà del XIII secolo, decidono di fondersi in un’unica città.

La leggenda vuole che fossero novantanove questi castelli e novantanove, uno meno di cento, diventa il numero magico dell’Aquila. Gli storici, sulla base di dubbie catalogazioni derivate dai documenti, verificano il numero e precisano che forse i castelli non erano novantanove, bensì ottantasei. Oppure ottantotto. Non si accorgono di essere ridicoli. È la straordinaria pluralità a contare, non il numero. Meglio, fermarsi in limine a cento, contenersi, non straripare nelle tre cifre s’intonerebbe benissimo al carattere dell’aquilanità. Portato alla puntualizzazione, alla precisazione, al non-consenso che non sia verificato, divergendo completamente in ciò dalla mercantilità levantina della costa, sfrenata, generosa, duttile, abituata a cercare bonariamente il punto d’incontro.

Così nasce L’Aquila, città dalle molte identità. Chi non la ama la definisce, stabilmente nel corso delle generazioni, "chiusa". Chi la ama, guardando il rovescio della medaglia, "fiera". Con tutta la declinazione di corollari conseguenti, sui due filoni: "inospitale", "aristocratica nell’accoglienza"; "ruvida", "materna"; "presuntuosa", "attenta a non far pesare lasua signorilità"; "polemica", "sorridente nel misurarsi con gli altri, come in una lotta giocosa". Contrapporre L’Aquila a Pescara non ha senso, in realtà. È come contrapporre i monti al mare. Non bisogna, tra l’altro, dimenticare che L’Aquila aveva una provincia oggi in buona parte laziale, fino a meno di un secolo fa: l’istituzione della provincia di Rieti a ovest l’ha privata di tutto un retroterra mentre a est, e sull’estraneo mare, nel 1927 le nasceva, strappandole anch’essa territorio, con lacerazione mai perdonata, Pescara. Su una cosa tutti sono d’accordo, anche gli aquilani: la loro città è difficilina di carattere, ma è magica, fascinosissima. Le sue identità molteplici si sono infatti polemicamente sintetizzate in una contiguità territoriale di grande bellezza e armonia.

L’Aquila è una città astratta, al di là della drammatica concretezza dei suoi problemi di oggi. Perché L’Aquila è un aggregato umano generato da un’idea. L’Aquila non è venuta alla luce come piccolo borgo, cresciuto poi, quasi per inconscia aggregazione, col passare del tempo. Si è affacciata alla storia con precise ambizioni di civitas, col progetto di diventare grande già appena nata, al tempo di Federico II. E già da quand’è in fasce, attorno alla metà del XIII secolo, qualcosa di strano comincia ad avvolgerla. Lo si coglie nell’atmosfera che vi aleggia. Atmosfera a volte sacrale, a volte pagana. Sacra dai tempi dell’incoronazione nella basilica di Collemaggio, il 29 agosto 1294, dell’eremita Pietro da Morrone, salito al soglio pontificio con il nome di Celestino V, il quale è però un papa… tutto particolare, ritagliato nella roccia, il quale trova più impervio ascendere al trono di Pietro che salire sulle dirupate coste dei monti d’Abruzzo. Prima e dopo Celestino V, comunque, queste terre attirano santi. Sono illuminate da grandi figure, dall’immenso san Francesco d’Assisi al gran predicatore san Bernardino da Siena, dal guerresco san Giovanni da Capestrano al beato Bernardino da Fossa. E altre volte invece L’Aquila, più che santa, è pagana. Cioè impregnata di una religione terrena. Basta percorrerla di notte per capire quanto sia ctonia, misterica, dionisiaca. La luna s’infiltra scintillante nell’acqua della fontana delle Novantanove Cannelle e parla attraverso il loro sciacquìo. Novantanove è il numero dell’esoterismo aquilano. La leggenda vuole nata la città da novantanove chiese, novantanove piazze, novantanove fontane e novantanove castelli.

Mentre l’Italia celebra il suo primo ventennio di unità, L’Aquila e la sua provincia vengono attraversati da una nuova esperienza, l’andar per mare, il salire sulle navi, l’imbarcarsi sui bastimenti per l’America sui quali interi nuclei familiari cominciano a trasferirsi nel nuovo mondo. È un flusso emorragico, nel rapporto con la terra, che dura fino al primo conflitto mondiale, per essere soppiantato, nel ’15-’18, da un altro flusso di sangue non solo metaforico: quello della grande mattanza, di cui oggi sbiadite lapidi e monumenti sbreccati, con retoriche iscrizioni, vecchie quasi un secolo, raccontano a noi, all’Aquila e nei dintorni. Migliaia di uomini e ragazzi abruzzesi vengono strappati ai loro affetti e mandati a morire senza sapere dove, senza sapere per cosa. Ventidue anni e la tragedia si ripete. Il Ventennio fascista precipita l’Italia, nel ’40, nella tragedia della Seconda guerra mondiale, che conferma la soggezione alla violenza espropriativa, la non padronanza della propria esistenza. I cimiteri aquilani recano i nomi esotici dei luoghi dove la vita è stata rubata: Nikolaevka in Russia, El Alamein in Africa, Flossenbürg in Germania. Un’esistenza, qui nell’Aquilano, difficile da vivere. Sempre segnata dal duro rapporto con la terra. C’è Silone a raccontare quale fosse la vita dei cafoni della Marsica, nel Ventennio. Le leggi che dopo la guerra frazionano e distribuiscono, non senza scontri, l’immensa superficie del Fucino ai coltivatori diretti non alterano granché la loro condizione. Da salariati divengono affidatari e poi proprietari della terra. Non è poco, ma la zolla, con il suo giogo, è sempre lì, indifferente alle vicende di proprietà, stagione dopo stagione, a esigere il suo tributo. Così greve da far dire ai personaggi di Fontamara: non è vita.

Solo l’emigrazione libera, per chi può permettersela, da tutto ciò. Foriera di altri problemi, certo, primo tra tutti quello di un’identità da ricostruire in Paesi dei quali non si conosce la lingua, non si conoscono costumi (e pregiudizi), e non si ha chiara neppure la misura, che s’imparerà a conoscere amaramente con gli anni, del non essere voluti; ma nei quali c’è lavoro, nei quali sbarcano emigranti da ogni parte del mondo, nei quali – soprattutto – c’è la possibilità di procacciarsi l’esistenza senza rompersi il filo della schiena nei campi. Perché questa è stata per millenni la vita dell’aquilano.

E alla fine degli anni Cinquanta-Sessanta, ecco la vera grande rivoluzione in situ: l’industrializzazione, l’impiego, il boom economico, gli anni in cui la popolazione dell’Aquilano, conosce, come tante altre realtà d’Italia, una fonte di sussistenza e di modesto benessere che non dipende dalla terra. Inizia l’abbandono delle campagne. Le tecniche e metodologie di lavoro si trasformano, i vecchi ritmi millenari dei lavori nei campi e della cultura della terra diventano proverbi, sempre meno comprensibili, sempre più scollegati dalla nuova realtà, morenti sulle labbra dei vecchi. Sopravvivono lavori particolari, non più legati alla sussistenza, ma al rito da calendario.

Settembre vendemmia vinificazione. Novembre olive oleificazione. Gennaio maiale. Marzo primo orzo. Aprile maggio frutta e verdura. Giugno mietitura. Luglio raccolto. La terra non esercita più la sua signoria. È sconfitta. Sono gli anni del grande disamore. Sono gli anni dell’abbandono, dell’allontanamento. La vita, il benessere, la gioventù si sono trasferiti altrove. Campagna equivale ad attaccamento suicida al passato. Ci vorranno venti-venticinque anni perché le cose cambino. E non sarà un ripensamento spontaneo, bensì indotto. Ci vorrà la presa di coscienza del degrado della vita urbana, e tanto più di quella metropolitana, perché coloro che se ne sono andati tornino a dire: non è vita. E, saltato il fragile amore per la città, sognino di tornare ad essa, come a una terra promessa. Ma con un problema nuovo: senza saperci più vivere.

Se volete capire cos’è L’Aquila, nelle sue prodigiose tesi, antitesi e sintesi, il consiglio migliore è: fermatevi alla sua soglia. E non perché oggi l’accesso sia inibito dal terremoto. Fermatevi a un passo dalle sue mura, ferite da larghi squarci. Per farvi ammaliare dalla sua bellezza, prima spiatela a distanza. Salite, in un’aurora d’estate o d’autunno, su una delle disabitate alture che la circondano. Guardatela da lassù. Da quella distanza nasconde i guasti del terremoto. Non sembra cambiata. E dite se il velluto delle prime luci del giorno, che trasmutano dal violetto all’indaco al rosa, rendendo visibili le creste dei monti, non è l’esatto opposto del nero della notte, in cui i monti sono ancora immersi. Dite se il primo cinguettio degli uccelli, inneggianti al ritorno della luce come se ogni aurora fosse la creazione del mondo, non è l’esatto opposto del silenzio che ancora avvolge tutto. Dite se le tenebrose sagome dei palazzi e delle chiese, dei conventi e del castello, delle colline e dei monti, non sono l’esatto opposto dello splendore che la luce tra un attimo rivelerà. Riconoscete, allora: non è una città, è un’idea. È una filosofia fatta pietra. È un moto che non si ferma. L’Aquila è una di quelle amanti che, amate, si trasformano e trasformano il loro amante. Conoscete questa terra, soprattutto dopo ch’è stata ferita dal terremoto, venite a incontrarla. Amatela, vedrete come risponderà.

Fonte: Avvenire

martedì, ottobre 06, 2009

La bibbia in versione Lego

Un modo simpatico per riprodurre Nuovo e Antico Testamento...senza tradire le parole e fatto per avvicinare i più piccoli al libro dei libri, attraverso un gioco diffusissimo nel mondo.
Vi assicuro ...un occhiata al link vale...eccome!!!

Clicca qui

lunedì, ottobre 05, 2009

La rete boccia il blog Beppe Grillo

Al Blog Fest di Riva del Garda, il meeting annuale dei blogger italiani, sono stati annunciati i vincitori dei Macchianera Blog Awards, una sorta di Oscar dei blog nostrani, inventati da Gianluca Neri e assegnati dai lettori di Macchianera. Il vincitore dell’edizione 2009 è Spinoza, blog di «satira serissima», online dal 2005, che si è aggiudicato anche i riconoscimenti per miglior community e miglior blog collettivo. Ma la vera sorpresa è stata la bocciatura del blog di Beppe Grillo, trionfatore dell’edizione dello scorso anno, e a cui ieri è stato assegnato il titolo di Miglior blog andato a... escort.

ALTRI PREMI - Blogger dell’anno è invece l’autore di Paul the Wine Guy, sarcastico osservatore dell’attualità. Il più bel post del 2009 l’ha scritto l’autrice del blog Cloridrato di Sviluppina e s’intitola 19 marzo, la festa del mio papà. I blogger hanno votato L’Antefatto, che ha preceduto e sta accompagnando il lancio del giornale Il fatto quotidiano, come blog rivelazione mentre Voglio scendere, scritto da Pino Corrias, Marco Travaglio e Peter Gomez si è guadagnato i premi di miglior blog di opinione e miglior blog vip. Ad Alessandro Gilioli, giornalista dell’Espresso e autore di Piovono Rane è andato il premio come miglior blog giornalistico.

TEMATICI - Per quanto riguarda i blog tematici, Paolo Attivissimo con il suo Disinformatico, in cui smaschera le bufale di cui è pieno il web, si è porterà a casa il premio per il miglior blog tecnico, mentre Un tocco di zenzero ha vinto per la categoria food and wine. Le Malvestite è stato valutato come il blog più temibile della blogosfera. Uccidi un grissino, salverai un tonno è invece il miglior blog di cazzeggio gratuito e Pensieri senza mutandine è stato il più votato nella categoria blog erotici. Cineblog, TvBlog, e Autoblog, del network di nanopublishing Blogo, hanno vinto rispettivamente i premi per la categoria cinema, televisione e motori. RadioNation per la categoria musica e Come diventare il mio cane per la sezione blog letterari. Nella categoria Photoblog, dedicata ai diari online fotografici, il gradino più alto del podio è di Voglia di Terra. Il riconoscimento per la grafica più accattivante è andato a Coreingrapho, mentre il premio miglior disegnatore lo ha conquistato l’autore di L’orso ciccione, i cui i post sono strisce di fumetti. Infine Wordpress Italy si è guadagnato il titolo di miglior servizio per i blog e la versione mobile di Repubblica.it ha vinto il premio per il miglior blog mobile.

Fonte: Corriere.it

venerdì, ottobre 02, 2009

I guai di un ateismo di stato..

In occasione del 1° ottobre, a 60 anni della fondazione della Repubblica popolare cinese, le chiese cristiane sono “invitate” a esporre la bandiera rossa davanti all’altare, come segno di gratitudine per il contributo del Partito all’armonia fra le religioni.

Molti giovani sono entusiasti di questo legame fra fede e patriottismo. Ma i vecchi che ricordano la persecuzione di questi 60 anni, sono più freddi e realisti: loro stessi ricordano l’entusiasmo per la nuova repubblica, trasformatosi in poco tempo in un incubo che dura ancora oggi. Ma proprio la loro persecuzione è stata una profezia. Quanto da essi subito, l’hanno poi subito i “nemici” di Mao, i democratici “nemici” di Deng; i giovani di Tiananmen; i contadini, gli operai e i dissidenti attuali

Si può affermare che proprio le vittime della persecuzione religiosa hanno preparato la crescita della società civile che oggi chiede il rispetto dei diritti umani.

La persecuzione contro cattolici, protestanti e le altre religioni è avvenuta subito all’indomani della proclamazione della Rpc. Fin dall’inizio[1] , infatti, il maoismo si propone in modo programmatico di distruggere ogni religione come superstizione, o assorbirla come strumento di governo, controllata da organizzazioni alle dipendenze del Partito. Così, da subito, personalità delle Chiese che lavoravano per il popolo – e che all’inizio avevano perfino guardato con simpatia l’arrivo dei comunisti – si trovano a resistere alla divinizzazione e all’assolutismo del potere, salvaguardando la libertà della propria coscienza.

La prima resistenza alla supremazia del Partito è stata quella di coloro che non hanno accettato di sottomettere la fede alle voglie del Partito, ma sono rimasti devoti a un Figlio di Dio superiore al “dio” Mao. Fra questi vale la pena ricordare la grande testimonianza offerta da vescovi come Ignazio Gong Pinmei di Shanghai (v. foto), Domenico Tang Yiming di Guangzhou, Giuseppe Fan Xueyan di Baoding. Tutti loro hanno passato decine di anni nei campi di lavoro forzato. L’ultimo è morto sotto le torture nel 1992.

Con la Rivoluzione Culturale (1966-1976) si compie l’opera di distruzione: monasteri svuotati e distrutti; chiese trasformate in fabbriche o magazzini; vescovi, preti, fedeli uccisi o mandati ai lavori forzati. Dal ’66 al ’76 tutta la Chiesa cinese, ufficiale e non ufficiale, è una chiesa di martiri. Il Partito proclama che le religioni sono ormai “abolite”.

Alla fine degli anni ’70, con le politiche liberali di Deng Xiaoping, e per migliorare l’immagine della Cina all’estero, alcune chiese vengono riaperte e molti preti e vescovi tornano liberi dalla prigione e dal lager. Ma ancora una volta si pone per loro una scelta: o accettare uno stretto controllo statale della liturgia e della pastorale, o svolgere le proprie attività in modo sotterraneo, di nascosto. Per sfuggire al controllo, molti di essi costituiscono strutture parallele a quelle della chiesa ufficiale: abitazioni usate come chiese, seminari, cappelle.

Tutte queste strutture e attività, già proibite ufficialmente nell’85, vengono categoricamente condannate come illegali nel 1994, quando il governo pubblica i cosiddetti Regolamenti per le religioni, a firma dell’allora Primo Ministro Li Peng, il “macellaio di Tiananmen”. I Regolamenti obbligano tutte le comunità religiose a registrarsi presso l’Ufficio affari religiosi, che controlla i luoghi di culto, i preti che officiano, i fedeli, i tempi delle liturgie, le vocazioni, i rettori di seminario, i professori, le risorse finanziarie, i rapporti con fedeli stranieri.

Da allora, in molte regioni, la Cina lancia una campagna per eliminare tutte le comunità sotterranee o assorbirle nell’Associazione patriottica, l’organizzazione che vuole edificare una Chiesa indipendente dal papa. La resistenza dei cattolici (e protestanti) sotterranei ha generato una violenta persecuzione – la stessa che oggi subiscono contadini, operai e attivisti per i diritti umani – ma ha tenuto viva l’idea che l’uomo ha diritto alla libertà religiosa, che il potere dello Stato non è assoluto.

Ancora oggi è in atto una campagna per eliminare tutte le comunità protestanti sotterranee e le cosiddette chiese domestiche, distruggendo chiese, arrestando i pastori, bastonando i fedeli, proibendo la diffusione di bibbie.

La comunità cattolica non sta meglio. I vescovi ufficiali – circa 70, riconosciuti da Pechino – sono ormai sotto un controllo ferreo perché segretamente riconciliati col papa. I vescovi sotterranei – non riconosciuti – sono tutti (circa 40) agli arresti domiciliari. Vale la pena ricordare che alcuni di loro sono scomparsi da tempo: mons. Giacomo Su Zhimin (diocesi di Baoding, Hebei), 75 anni, arrestato e scomparso dal 1996; mons. Cosma Shi Enxiang (diocesi di Yixian, Hebei), 86 anni, arrestato e scomparso il 13 aprile 2001; mons. Giulio Jia Zhiguo, scomparso per l’ennesima volta il 30 marzo scorso.

Il card. Joseph Zen di Hong Kong ha chiesto a Hu Jintao di liberare tutti i vescovi e sacerdoti prigionieri, proprio in occasione della festa dei 60 anni.

Vale la pena ricordare anche che “grazie” alle persecuzioni comuniste i cattolici sono più che quadruplicati negli ultimi 60 anni. Nel ’49 erano poco più di 3 milioni; oggi, cattolici sotterranei e ufficiali, sempre più riconciliati, sono più di 12 milioni e vi sono circa 100mila nuovi battezzati (adulti) ogni anno.

Un ultimo fatto da mettere in luce è un altro contributo che cristiani, cattolici e protestanti, stanno dando per la crescita della società civile. Tale società, infatti, pone al centro la persona con i suoi diritti inalienabili e non lo Stato (o la supremazia del Partito) che elargisce qualche diritto quando, come vuole e a chi vuole. Tale influenza è avvenuta attraverso alcuni dissidenti - in Cina o in esilio all’estero – che dopo una ricerca religiosa, o l’incontro con comunità cristiane occidentali, sono approdati al cristianesimo. Personalità come Gao Zhisheng, Liu Xiaobo, Han Dongfang, Hu Jia hanno scoperto la fede cristiana come la base del valore assoluto della persona, come la forza della loro dissidenza e della difesa dei diritti umani. Molti di loro sono in carcere. Il Partito reputa questa alleanza fra religione e diritti umani come l’elemento più pericoloso alla sua sopravvivenza. Ma un futuro di pace per la Cina dipende dalla loro opera.

Fonte: Asianews.it

giovedì, ottobre 01, 2009

E la terra torna a tremare...

Una nuova scossa fa tremare Sumatra

Nella notte sisma di magnitudine 6.8 con l'epicentro a circa 150 chilometri da Padang

GIAKARTA - A Sumatra l'incubo non è ancora finito: una nuova forte scossa di terremoto, di magnitudine 6.8, è stata registrata sull'isola indonesiana, a sud della zona devastata mercoledì da un sisma di 7.6 gradi sulla scala Richter. Secondo le rilevazione dello United States Geological Survey (Usgs), il sisma è avvenuto alle 8:52 ora locale (le 2:52 in Italia) con epicentro tra le province di Jambi e Bengkulu, a circa 150 chilometri da quello della violenta scossa di mercoledì. Al momento non sono disponibili informazioni su eventuali danni o vittime causati dal nuovo sisma.


OLTRE 750 LE VITTIME ACCERTATE - Il bilancio delle vittime continua a salire: l'ultimo parla di 1100 morti accertati e 2400 feriti di cui 294 gravi. Ma il responsabile dell’unità di crisi del ministero della Sanità indonesiano ha ribadito nuovamente che il numero totale delle vittime sarà di diverse migliaia.

Al momento non risultano italiani coinvolti nel sisma. Lo ha confermato Luigi Diodati, consigliere della legazione italiana a Giacarta. «Siamo riusciti a contattare una religiosa che vive a Padang e ci ha detto che non ha notizie di italiani coinvolti. Anche alcuni altri religiosi che vivono nella città stanno bene». Diodati ha confermato che però «la situazione è confusa» e occorre vedere «se c'erano italiani di passaggio». Ma i contatti sono resi difficili dalle linee di comunicazione che sono saltate: «Ancora non funzionano i cellulari mentre cominciano ad essere attive alcune linee di telefono fisso».

ARRIVATI I PRIMI AIUTI - Anche se le squadre di soccorso continuano a scavare praticamente a mani nude tra le macerie e con pochissimi mezzi meccanici a disposizione, all'indomani del sisma nella regione sono cominciati ad arrivare i primi aerei carichi di cibo, medicine, sacchi per i cadaveri, alimenti per bambini, tende, coperte e operatori sanitari. A Padang, una città di quasi un milione di abitanti, rimasta praticamente senza elettricità nè linee di collegamento con l'esterno, la situazione è drammatica: dalle immagini televisive, risultano edifici crollati, ponti caduti, strade allagate, auto accartocciate.

TRE MILIONI DI EURO DALL'EUROPA - La Commissione europea ha stanziato tre milioni di euro per provvedere alle prime esigenze umanitarie. La Commissione ha anche stanziato 2 milioni di euro per aiutare le vittime del tifone Ketsana in Vietnam, Laos e Cambogia. Un team del dipartimento aiuti umanitari della Commissione (ECHO) è stato già inviato in Vietnam per individuare i bisogni principali.

Fonte: Corriere.it