mercoledì, settembre 12, 2007

Apriamo gli occhi sullo stato dei nostri mari



Le ricadute dell'effetto serra. E i crescenti rischi in Adriatico





Ormai è evidente che il mutamento climatico in atto si traduce in diversi e importanti effetti, uno dei quali, il più noto, è l'aumento della temperatura dell'aria. C'è però un secondo e fondamentale elemento ambientale che è soggetto al riscaldamento: l'acqua. Si parla spesso dell'aumento del livello dei mari per la fusione dei ghiacci (altro effetto del cambiamento del clima), ma non bisogna dimenticare che gli oceani si stanno "gonfiando" anche per dilatazione termica, legge alla quale in natura sono soggetti tutti i corpi: solidi, liquidi e gassosi. Il "sesto continente" sta dunque cambiando, e non solo dimensioni. L'aumento della temperatura altera gli equilibri degli organismi viventi nelle acque e negli ambienti circostanti (litorali, insenature, paludi). È esperienza vissuta da molti italiani la fastidiosa presenza di alghe e mucillagini sulle sponde adriatiche. Ma è in gioco qualcosa di molto più importante: la catena alimentare del mare, dal plancton (microorganismi) ai piccoli crostacei, ai pesci, fino alle più grandi creature, ogni anello del processo vitale costiuisce un elemento indispensabile minacciato dal riscaldamento. Un'altra conseguenza - messa in luce in questi giorni dalla comunità scientifica in occasione dell'imminente Conferenza nazionale di Roma sui cambiamenti climatici - è il possibile mutamento delle correnti del Mediterraneo. Un mare che si alimenta e "vive", perché si muove e si mescola non solo grazie alle precipitazioni atmosferiche, ai venti e al moto ondoso, ma anche in virtù delle correnti marine. Che, come noto, sono tanto superficiali quanto profonde. La circolazione, nel Mediterraneo come nei ben più aperti e vasti oceani, si compie e si chiude secondo clicli, grazie a correnti a diversi livelli che scambiano acque più o meno fredde e più o meno salate con movimenti di risalita e di affondamento (upwelling e downwelling). Quelle più fredde sono ricche di preziose sostanze nutritive. Il Mediterraneo ha un a corrente di scambio ovest-est con il vicino Atlantico (grazie a Gibilterra non siamo isolati). A pari latitudine, la superficie del nostro mare è più calda di 5 gradi in inverno e fino a 10 gradi in estate rispetto a quella oceanica. Ed è più salata (37 grammi di sali in un litro d'acqua, contro il 35 per mille atlantico). Ma esistono altre tre correnti, dirette secondo i meridiani: quella del Golfo del Leone, quella dell'Egeo e quella del Golfo di Trieste. Il riscaldamento dell'Adriatico potrebbe rallentare quest'ultima, e dunque cambiare gli equilibri dinamici e ambientali, diminuendo o non più assicurando i necessari apporti nutritivi. Va ricordato, infine, che l'effetto serra accelera. Il mare è un nostro potente alleato, perché assorbe grandi quantità di anidride carbonica (CO2, uno dei gas responsabili). Si stima, solo per fare un esempio, che che nel tratto compreso tra il Golfo di Napoli e le isole Eolie venga "catturato" mezzo milione di tonnellate di CO2. Oggi, insomma, gli oceani bloccano grosso modo la metà dell'anidride. E però anche nell'ambiente marino, che si scalda con maggiore lentezza dell'aria, specie in profondità; la situazione sta cambiando: la temperatura del Tirreno (fino a 100 metri in basso) è salita nello scorso inverno di 2 gradi rispetto al valore normale; e l'Adriatico ha i fondali assai più bassi e può scaldarsi con maggiore facilità. Un mare più caldo assorbe meno CO2 e, così, l'effetto serra si autoalimenta. Nessuno può affermare che non vi è più tempo per correre ai ripari. Ma nessuno può più permettersi di sprecarlo a trastullarsi con il pensiero di una natura infinitamente paziente e, ancor meno, con le "magnifiche sorti e progressive" che dovrebbe assicurarci la tecnica.

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