giovedì, ottobre 04, 2007

Un articolo tristemente ironico... viviamo in una società davvero malata!!



SVIZZERA, RESPINTA UNA SIGNORA CHE ASPETTAVA IL SUO TURNO

Troppe bare per le scale, condominio blocca il suicidio assistito





Volete suicidarvi secondo i crismi della legalità, con l’ausilio di personale specializzato?

In Svizzera si può fare, grazie ad associazioni come Dignitas, che aiutano chi ha
deciso di morire a realizzare il proprio desiderio.

Basta avere l’accortezza di scegliere un luogo appartato, dove non ci siano vicini di casa che possano cadere in depressione e sentirsi danneggiati; altrimenti si corre il rischiodi veder interrompere la cerimonia degli addii dall’irruzione della polizia. A Zurigo
morire è un diritto, i volontari che si occupano di suicidio assistito appartengono a organizzazioni umanitarie legalmente riconosciute, però pare che nessun quartiere li voglia ospitare. I suicidi turbano la gente comune,che vuole vivere tranquilla a casa propria, senza essere infastidita dal lugubre andirivieni di cadaveri nell’appartamento accanto. L’associazione Dignitas è stata già costretta a traslocare una prima volta, perché tutto quel traffico di bare disturbava i
residenti. E anche stavolta, nel tranquillo sobborgo di Staefa, i condomini si sono compattamente schierati contro la mesta processione di aspiranti suicidi che bussa alla porta dell’associazione.

Da quando si sono installati nella nuova sede, i membri di Dignitas hanno aiutato già 6 persone a togliersi la vita, ma secondo le stime presentate in tribunale i candidati sarebbero diventati ben 200 in un anno, se il gruppo avesse proseguito la propria attività. La cifra costituirebbe un record statistico se non fosse dovuta in buona parte al cosiddetto “turismo suicida”, quello di chi rifiuta di suicidarsi secondo classici metodi un po’ rozzi, come il gas o i tranquillanti, e preferisce affidarsi agli esperti. In Svizzera, dove peraltro l’eutanasia vera e propria è vietata, il suicidio assistito è legale fin dagli anni 40, e nel tempo il numero di persone che provengono da altri paesi è notevolmente aumentato. La prospettiva di vedere uscire dall’inquietante appartamento circa 4 bare a settimana, considerando le pause delle vacanze, ha atterrito i vicini di casa. “Non siamo contro il suicidio assistito – dice Christiane Keller, una delle abitanti del palazzo – ma tutto questo costituisce per noi un peso enorme, e la salute dei residenti ne ha sofferto”.
Troppo stress: il contatto costante con la morte rovina la vita. E’ cominciata così una lotta a colpi
di carte bollate tra i condomini ribelli e l’associazione per il diritto al suicidio. Qualche
settimana fa Dignitas ha ricevuto un’ingiunzione con cui le si intimava di cessare le attività,
o di chiedere la modifica della destinazione d’uso dell’immobile: se voleva proseguire nelle pratiche eutanasiche doveva ottenere che l’abitazione venisse classificata ufficialmente
come “appartamento per il suicidio assistito”. Quando i vicini hanno constatato che l’organizzazione ignorava il divieto, hanno chiamato le forze dell’ordine, che sono
arrivate, hanno messo i lucchetti all’appartamento e buttato fuori una signora che pazientemente aspettava il suo turno.
Not in my backyard, non a casa mia. In Italia è il criterio che impedisce di costruire un
inceneritore o di tracciare il percorso per l’alta velocità, senza che una comunità montana
insorga, o un’associazione ambientalista protesti. Ma oggi la logica del “fatelo pure, ma
un po’ più in là” si allarga fino a lambire i temi etici. Fate qualunque cosa, purché resti
un affare privato, e non si chieda in nessun modo il coinvolgimento degli altri: ciascuno
nel suo appartamento, murato nelle sue sofferenze solitarie.

Eugenia Roccella da "Il Foglio"

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